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Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 02/12/2004
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 1137/04
Parti: Bettati Engineering srl / Marco D.
CONTRATTO A TERMINE – MANCATA INDICAZIONE DELLE RAGIONI GIUSTIFICATRICI – ILLEGITTIMITA’


Un dipendente assunto con contratto a tempo determinato ai sensi della nuova normativa (D.lgsl n. 368/01) ha contestato la legittimità del contratto per il fatto che non vi erano specificate le ragioni giustificanti l’apposizione del termine, deducendo la violazione dell’art. 1 comma 2 del decreto legislativo, interpretato nel senso che la forma scritta sia richiesta, oltre che per l’indicazione del termine del rapporto, anche per quella delle ragioni di carattere tecnico, produttivo o sostitutivo che, a tenore del comma precedente, giustificano l’apposizione del termine. La società convenuta ha contestato tale interpretazione rilevando che la seconda indicazione non era espressamente prevista dalla legge. Secondo il Tribunale di Bologna la formulazione del secondo comma “è infelice e tale da giustificare, sul piano dell’esegesi letterale della norma, entrambe le tesi sostenute dalle parti in causa” rendendosi conseguentemente necessario fare ricorso ad altri strumenti interpretativi, che attengono alla funzione di tale disposizione nel contesto della nuova disciplina del lavoro a termine introdotta con il citato decreto legislativo. Secondo il Giudice vi sono due indici logici favorevoli alla tesi del ricorrente: il primo è che, si accogliesse la tesi avversa, la previsione di legge che richiede la specificazione delle ragioni che il precedente primo comma indica con clausola generale, perderebbe qualunque significato e sarebbe priva di sanzione; il secondo indice è costituito dalla discontinuità rispetto alla previsione dell’art. 1 terzo comma della legge n. 230/62 che stabiliva solo: “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto” senza ulteriori postille; e l’inclusione di un ulteriore requisito formale, a parere del Giudice, se si muove dal postulato di un legislatore razionale, dovrebbe significare qualcosa. Sostiene il magistrato che la tesi aziendale dovrebbe senz’altro accogliersi ove si aderisse all’opinione dell’attuale acausalità del contratto di lavoro a termine, e cioè della sua completa liberalizzazione; secondo questa opinione la tendenziale onnicomprensività delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo indicate dal primo comma consentirebbe il ricorso a contratti di lavoro a termine anche in presenza di esigenze non temporanee di impresa. Senonché tale interpretazione non è imposta dal tenore della legge, e sembra possa essere ragionevolmente confutata” per i seguenti motivi. “Innanzi tutto il D.lgsl 368/01 costituisce attuazione della direttiva comunitaria 70/99, nel cui preambolo si ribadisce che la formula comune dei rapporti di lavoro è quella del rapporto a tempo indeterminato; e pertanto un’interpretazione della legge nazionale che non consentisse di cogliere le differenze delle ragioni che giustificano il ricorso all’una piuttosto che all’altra categoria di contratti si porrebbe in contrasto con la regola affermata dalla fonte comunitaria; inoltre l’interpretazione che qui si critica non si armonizza con la disciplina della proroga, perché se si potesse fare ricorso a contratti a termine anche in presenta di esigenze non temporanee, ben difficilmente si potrebbe giustificare un regime limitativo della proroga, che è ammessa una sola volta e che richiede per di più l’individuazione di ragioni oggettive che devono riferirsi alle stesse mansioni già svolte. Riaffermato dunque il carattere causale, ma non tipico (nel senso che non è la legge, né la contrattazione collettiva a dettare le tipologie casuali) dell’apposizione del termine, la previsione espressa del requisito di formale può interpretarsi non come una sbavatura del legislatore, che avrebbe detto di più di quello che voleva, ma come il necessario contrappeso sul piano formale della perdita di garanzia insita nel ricorso ad una tecnica legislativa imperniata su una clausola generale. E cioè: proprio il fatto che la legge rinunci ad una previa elencazione delle esigenze temporanee giustificanti l’apposizione del termine, richiede che esse siano indicate nell’atto stesso con cui il termine viene apposto.” Il Tribunale di Bologna sviluppa il suo ragionamento ritenendo che solo in tal modo il programma aziendale giustifica l’apposizione del termine acquisti la necessaria trasparenza; la causa giustificativa del termine deve essere valutata ex ante, in quanto conosciuta e voluta dalle parti, mentre nulla esclude che ex post possa essere fabbricata ad arte, od anche oggettivamente rinvenuta, una causale però che non fu né prevista né voluta dalle parti contraenti. Per questi motivi il termine apposto nel contratto di cui è causa viene dichiarato dal Giudice privo di effetto e il contratto stesso a tempo indeterminato, con gli effetti che scaturiscono non già dall’art. 18 della legge n. 300/70, ma dalla continuità del rapporto oltre il termine inefficace. In senso analogo si era pronunciato Trib. Ravenna G.U. con sentenza del 7.10.2003 (Est. Mazzini in Il Lav. nella Giur. N. 12/2004, p.1283)